“INTERVISTA del Direttore di Nove da Firenze, Dott. Nicola Novelli, a Deborah Bianchi su GLI STRUMENTI GIURIDICI DEL GIORNALISMO DIGITALE”

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INTERVISTA del Direttore di Nove da Firenze, Dott. Nicola Novelli, a Deborah Bianchi su
“GLI STRUMENTI GIURIDICI DEL GIORNALISMO DIGITALE”
Il giornalista digitale è soprattutto un comunicatore e come tale deve conoscere le tecniche di diffusione della notizia nel web. L’infrastruttura elettronica, habitat di riferimento, si costituisce di leggi tecniche che condizionano tutte le realtà ivi esistenti e dunque anche le testate telematiche. Assunta questa consapevolezza non possiamo che evincere che stampa cartacea e stampa elettronica sono due mondi completamente diversi. Mondi diversi in cui le leggi dell’uno non possono essere applicate anche all’altro. Urge dunque una legge ad hoc per l’editoria digitale. E’ questo il senso dell’intervento dell’avvocato Deborah Bianchi al convegno Dig.it 2013, che ha avuto luogo nelle settimane scorse a Firenze.

Nel seminario “Easy web for journalist”, la specialista di Diritto della Rete ha tratteggiato il quadro normativo vigente. Le normative finora succedutesi dopo l’avvento dell’Internet si sono preoccupate soltanto della trasparenza nei finanziamenti (pensiamo alla legge 62/2001, al D.Lgs. 70/2003, alla legge 103/2012), ma mai hanno teso l’orecchio alle esigenze di questo giornalista che sta mutando verso la figura del comunicatore e poi anche verso la figura dell’imprenditore alla ricerca di una forma di sopravvivenza dopo la valanga della Società dell’Informazione dove tutti sono e fanno informazione.

“Gli unici strumenti validi per tutelare le nuove figure di giornalista provengono dall’elaborazione giurisprudenziale che intanto ci ha detto che il Blog non è stampa, ma solo l’esercizio di libera espressione del cittadino (Caso Ruta, Cassazione n. 23230 della Terza sezione penale 10 maggio 2012, dep. 13 giugno 2012) e che il Direttore della testata telematica non può essere assimilato al Direttore della testata cartacea (Caso www.merateonline.it, Cass. pen., sez.V, 1.10.2010, n. 35511) -ha spiegato nel suo intervento al convegno fiorentino l’avvocato Deborah Bianchi- Sempre l’evoluzione giurisprudenziale ci dice che il Blogger si può tutelare assumendo le vesti di una testata telematica di piccole dimensioni (Caso www.societàcivile.it/blog, Cassazione n. 7155 del 10 gennaio 2011) e che il Direttore del giornale on line si tutela dal reato di omesso controllo ex art. 57 c.p. sostenendo l’eterogeneità tra stampa cartacea e stampa elettronica già sancito dalla Cassazione (Caso www.merateonline.it, Cass. pen., sez.V, 1.10.2010, n. 35511) e quindi concludendo per un’impossibilità dell’applicazione della Legge Stampa del 1948 all’Internet”.

Allora che cosa devono fare i tanti giornalisti web che, ormai licenziati dalla stampa cartacea a causa dei tagli, cercano di trovare una collocazione lavorativa nell’Internet?

“Possono intanto provare a mettere sù una testata telematica di piccole dimensioni perché il costo è minimo e non è necessaria la registrazione al ROC”. Ma se le cose vanno bene e la testata accresce il proprio fatturato (senza però oltrepassare la soglia dei 100.000,00 euro annui-testata telematica ordinaria), che forma giuridica dovrà assumere il soggetto che tiene in piedi la testata?

“Quando il giornale on line era frutto di un’associazione no profit bastava il lavoro di giornalisti professionisti volontari”.
Quando però il giornale cresce e la forma giuridica del soggetto titolare della testata dovrebbe passare da associazione no profit a società, come costruire il nuovo rapporto tra il giornalista professionista e la propria società?

“Allora il giornalista diventa socio. Bene ma il giornalista professionista dovrebbe rifuggire dalla veste contestuale di imprenditore. Si potrebbe allora rispondere: si procede a stipulare un contratto di lavoro dipendente tra la società e il giornalista”.
Ma se la società non ha ancora la forza economica per stipulare dei contratti di lavoro subordinato cosa si fa?

“Il giornalista del web chiamato ormai ad essere soprattutto un comunicatore veste i panni “dissacranti” dell’imprenditore ma non può farne a meno. Il nostro legislatore dovrebbe inquadrare questa nuova figura di giornalismo in modo da mediare le esigenze economiche del professionista con gli imperativi deontologici della professione. Quindi mutare leggi che ormai sono superate e costruire istituti nuovi che possano far decollare le realtà in grado di prendere il volo. L’alternativa è solo uno stagno impastato dove l’innovazione e l’iniziativa imprenditoriale del giornalista sono destinate a essere continuamente tarpate”.

Cosa promette lo scenario attuale del legislatore?

“Proprio in questo periodo si svolge la discussione in Parlamento del DDL Diffamazione. Si tratta del disegno di legge per depenalizzare il reato di diffamazione a mezzo stampa introducendo soltanto sanzioni amministrative di carattere pecuniario unite a responsabilità civile. Ricorderemo il clamore del Caso Sallusti e della decreatazione d’urgenza che aveva partorito la famosa norma-ammazza blog. Ora i blog non sono interessati dal DDL ma i dubbi che questo solleva sono ancora molti”.

Ha senso parlare di istituto della rettifica nell’Internet?

“Il web è un cosmo dominato dall’egemonia dei motori di ricerca (es. Google) che frullano tutti i contenuti pubblicati in Rete senza logiche temporali (tutto è eterno presente) riportando ogni informazione sullo stesso piano: sia la notizia del passato sia la notizia dell’attualità. Non solo: i motori di ricerca compiono anche abbinamenti per chiavi di ricerca. Pensiamo alla funzione di Google Suggest. Conseguenza di tutto questo è che quando digitiamo o, come si dice, googliamo un nome-cognome sulla barra di Google Search escono fuori delle parole abbinate a questo nome-cognome. La giurisprudenza ci dice che alcune volte questi abbinamenti possono essere lesivi e vengono condannati. Pensiamo a Trib. Milano, Ord. 24.03.2011, in cui al nome-cognome di un soggetto venivano ingiustificatamente abbinate le parole truffa-truffatore. In questo caso Google è stato condannato perché le parole Truffa-truffatore non esistevano nei contenuti on line e dunque nessun autore era responsabile se non il motore di ricerca quale hoster attivo. Nell’ipotesi in cui, invece, i contenuti provengano da un sito web le cose cambiano: Google non è più un hoster attivo bensì passivo e la responsabilità ricade su chi mantiene on line i contenuti lesivi che alimentano l’abbinamento lesivo dell’algoritmo di Google Suggest ovvero sulla testata telematica o sul blog”.

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